Sunday, November 29, 2020

Tessellate - Capitolo 27

 

27.
WE STILL WORSHIP THIS LOVE, EVEN IF IT'S A FALSE GOD

 

 

 

Dianna ripose l’ennesima lettera nella scatola dopo averla letta, e si asciugò le lacrime dal volto. Da quando si era messa a letto, poco dopo cena, non era riuscita a smettere di leggere le parole che Vivien aveva impresso per lei sulla carta, e non era riuscita nemmeno a smettere di piangere.
Controllò l’ora sullo schermo del suo telefono. Una e cinquantotto. Avrebbe dovuto dormire; il giorno dopo l’aspettava l’ultimo confronto con Vivien, quello decisivo, la sua ultima chance di convincerla a tornare a casa con lei, e poi un viaggio lunghissimo che l’avrebbe sfinita, e ovviamente la serie di bugie che aveva già raccontato e che avrebbe dovuto raccontare a Elise. Odiava mentirle, lo odiava più di qualunque altra cosa, ma non poteva, non poteva proprio dirle la verità. Ovviamente, a un certo punto, l’avrebbe fatto, e se tutto fosse andato come lei sperava si sarebbe presentata a casa con Vivien appresso, e le  sue bugie si sperava sarebbero passate in secondo piano, oscurate dalla gioia di riavere l’inglese con loro e di aver ricomposto la loro famiglia. Se invece così non fosse stato, allora era meglio aspettare, perché Elise era ancora troppo fragile sull’argomento, troppo arrabbiata, troppo distrutta per poter sopportare un’altra coltellata del genere - sapere che Vivien aveva rifiutato di tornare con loro nonostante tutto ciò che Dianna le aveva detto. No, decisamente non era il caso che Elise sapesse, non ancora.
Tutto quel piangere le aveva fatto venire sete, così si alzò dal letto e si diresse in cucina per prendere un po’ d’acqua. La luce del salotto era accesa, e così anche quelle del giardino. Strano, Vivien solitamente spegneva tutto prima di andare a dormire, il che voleva dire che l’inglese era ancora sveglia, e si trovava in giardino.
Dianna tornò in camera per prendere una felpa con cui coprirsi e la scatola con le lettere, poi si avventurò all’esterno in cerca della padrona di casa, trovandola sdraiata su uno dei lettini con lo sguardo fisso verso l’alto, che guardava le stelle.
“Anche tu non riesci a dormire?”
Vivien sussultò lievemente, perché non si aspettava il suo arrivo, ma si voltò verso di lei e le sorrise, scuotendo la testa.
“Mi succede spesso, ultimamente. Credo di aver dormito troppo nei primi periodi che sono stata qui, e ora il mio corpo ne ha abbastanza. Non sono mai stata una dormigliona, lo sai.”
Dianna si sedette sul lettino affianco a quello di Vivien, in modo da poterla guardare.
“E tu, invece?” chiese Vivien. “Cosa ti tiene sveglia?”
La brunetta indicò la scatola con le lettere che aveva appoggiato accanto a sé. “Tu.”
“Ah.”
“Viv, sono meravigliose… volevo leggere il copione prima, ma poi…”
“Sono venute prima in ordine cronologico, quindi ha un senso,” disse l’inglese. “Mi dispiace che ti stiano tenendo sveglia… dovresti riposare visto il viaggio che ti aspetta domani.”
Dianna scosse la testa. “Non importa… dormirò in aereo se proprio sarò stanca, o quando arriverò. Avevo bisogno di leggerle.”

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Wednesday, November 25, 2020

Reese Girls - Capitolo 8

 

8.
ERI TROPPO IMPEGNATA A SBAVARE DIETRO A MIA MADRE

 


 

L’ultima cosa che Gin voleva quel giorno era andare a scuola. Aveva preso seriamente in considerazione di chiedere a sua mamma di lasciarla a casa almeno per quel giorno, ed era  sicura che Vivien sarebbe stata d’accordo, visto che non aveva mai perso un solo giorno di scuola a meno che non fosse assolutamente necessario, senza contare che non era neanche la scuola regolare, solo quella estiva, qualcosa che faceva volontariamente, quindi dov’era il problema? Ma Virginia Reese amava la scuola, e non avrebbe sopportato perdere un giorno, con tutto ciò che avrebbe potuto imparare in quelle ore, solo perché qualcuno le aveva spezzato il cuore. E non è che avesse qualcosa di  cui vergognarsi, in ogni caso. Shannon era  quella che avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, non lei. Quindi no, non avrebbe saltato la scuola, non avrebbe dato a Shannon tutta quella importanza, ma questo non voleva dire che fosse elettrizzata all’idea di condividere lo spazio con la sua cotta non corrisposta per cinque lunghe ore. O per giorni. Menomale che quella settimana era l’ultima di scuola estiva, e poi Shannon sarebbe tornata alla sua scuola pubblica e sarebbe andata alla HW solo per alcune lezioni. Era meglio e più sopportabile, soprattutto dopo la pausa estiva in cui Gin non avrebbe visto Shannon per settimane.
Fece colazione sola, perché sua mamma era  dovuta andare sul set presto quella mattina, e poi  andò fuori ad aspettare che il pulmino della scuola la passasse a prendere. Non vedeva l’ora di compiere sedici anni a novembre, per poter finalmente prendere la patente e smettere di usare il pulmino. Lei era una delle poche persone nella sua scuola che  prendevano il pulmino, perché quasi tutti alla HW avevano o un genitore che li accompagnava, o addirittura un autista personale. Vivien a volte l’accompagnava, ma ultimamente era così  impegnata con le riprese di Treasure Hunt che non era quasi mai a casa la mattina, e quando lo era, solitamente significava che l’aspettava una lunga nottata al lavoro, quindi Virginia preferiva lasciarla dormire. Non le seccava troppo prendere il pulmino, ma non vedeva l’ora di poter essere un pochino più indipendente.
Uscì dal cancello e aspettò sul marciapiede che apparisse il pulmino giallo, ma invece, una macchina si fermò proprio davanti a lei. Non UNA macchina. La macchina di Shannon.

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Sunday, November 22, 2020

Tessellate - Capitolo 26

 

26.
TAKE YOU AWAY FROM THAT EMPTY APARTMENT YOU STAY

 

 

 

“Dianna?”
Erano sette mesi che non la vedeva, sette mesi in cui l’aveva sognata, l’aveva maledetta, l’aveva immaginata, l’aveva compianta, e ora che finalmente ce l’aveva davanti, Dianna rimase ferma immobile, come paralizzata, senza sapere cosa fare.
Vivien Reese era e sarebbe stata sempre la donna più bella e affascinante del mondo, e rivederla dopo quel lungo distacco non aveva fatto altro che renderla ancora più splendida ai suoi occhi. C’era qualcosa di molto diverso in lei, però, qualcosa che la faceva sembrare molto più simile a un’estranea, o alla persona che era entrata negli uffici di Treasure Hunt per la lettura del copione anni prima, e non la donna che lei amava così disperatamente da aver attraversato l’oceano di nascosto alla sua compagna solo per poterla riportare a casa. Dianna non sapeva se era lo sguardo negli occhi di Vivien - al momento impanicato, più un qualcosa che non era in grado di decifrare - o il fatto di averla trovata con un uomo a lei sconosciuto che si comportava come se fosse di casa a villa Reese, ma c’era decisamente qualcosa di strano. Poi se ne accorse.
“Tu… i tuoi capelli…” balbettò, sentendosi una stupida per quella particolare scelta di parole come primo scambio in sette lunghissimi mesi. “Sei mora.”
Vivien fece oscillare la coda alta e le regalò un timido sorriso. “Già.”
Rimasero in silenzio a fissarsi, nessuna delle due riusciva a trovare qualcosa da dire, o a fare la prima mossa verso l’altra. Dianna, in realtà, non era sicura di cosa sarebbe successo se si fosse mossa, se sarebbe volata nelle braccia dell’inglese che le erano mancate così tanto, o se l’avrebbe schiaffeggiata per tutto quello che aveva dovuto passare a causa sua, tutto quello che la sua famiglia aveva dovuto passare solo perché lei si era fatta venire delle crisi di autostima. Ok, in realtà Dianna capiva cosa avesse spinto Vivien a prendere quella decisione, ma questo non voleva dire che lei, Elise, e Tory non avessero sofferto per via di essa. E sicuramente non voleva dire che lei non avrebbe lottato con le unghie e con i denti per convincere Vivien a ripensarci, a tornare da loro.
Il silenzio fu rotto dall’uomo che le aveva aperto la porta, che Vivien aveva chiamato Bas.
“Bene, è meglio che io vada a casa,” annunciò, prendendo i suoi averi dal tavolino e facendo tirare a Dianna un sospiro di sollievo perché voleva dire che non abitava lì con Vivien. “Viv, mi accompagni alla porta?”
Come un automa Vivien annuì e si alzò, seguendo l’uomo verso l’ingresso. Dianna non riuscì a resistere e si mosse anche lei per sbirciare i saluti tra la sua ex e quello sconosciuto che, chiaramente, per Vivien non era per niente uno sconosciuto. Da dove si trovava non riusciva a sentire quello che si stavano dicendo, ma vide molto bene l’abbraccio in cui questo Bas avvolse l’inglese, quasi sollevandola da terra per prenderla tra le sue braccia. E poi… Dianna strabuzzò gli occhi. Stavano baciandosi? Era molto difficile da dire da quell’angolatura, avrebbe tranquillamente potuto essere un bacio sulla guancia un po’ troppo prolungato o una vera e propria slinguazzata, ma chi poteva dirlo da quella distanza? Solo il pensiero che Vivien forse stesse baciando quell’uomo le fece venire il voltastomaco, e si chiese se forse non aveva commesso un terribile errore a presentarsi lì in quel modo, senza avvisare, senza dare a Vivien il tempo di raccontarle come aveva vissuto quegli ultimi sette mesi. Magari si era ricostruita una vita, magari era andata avanti senza di loro, con quel Bas. Sembravano veramente intimi, e Vivien l’aveva chiamato darling. Il che, ragionò Dianna, non significava nulla, perché l’inglese aveva la tendenza di chiamare darling praticamente qualunque persona con cui avesse scambiato più di due parole, o forse neanche quelle.

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So it goes - Epilogo

 

Epilogo

 

 

“Questo è stato, senza dubbio, il miglior Pride a cui io sia mai stata,” dichiara Rory mentre entriamo nel mio appartamento, tutte sudate e stanche, ma decisamente felici.§“È perché ora ti senti parte della famiglia, e non solo di supporto,” le spiego, dirigendomi in cucina per prendere una bottiglia d’acqua. Mi sento disidratata, visto che siamo state sotto il sole per ore, e la calura di Siviglia non è esattamente la condizione atmosferica ideale per una parata.
“Hey, vuoi dire che io non mi sentirò mai veramente coinvolta perché sono solo un’alleata?” Jean protesta, e io e Rory ridiamo.
Vedere la mia ragazza e la mia migliore amica insieme, passare la giornata al Pride con entrambe mi rende felice. Non sono esattamente amiche, e probabilmente non lo saranno mai, ma si vede che ci stanno provando per amore nei miei confronti, e lo apprezzo.
Non solo la mia vita sentimentale sta andando a gonfie vele, ho anche ritirato le mie dimissioni, rendendo Violeta estremamente felice, anche se un pochino perplessa, quindi ho di nuovo il mio lavoro e non ho nessuna intenzione di lasciare Siviglia a breve. Tutto è andato al suo posto.
“Ok voi due, io me ne vado,” annuncia Jean. “Nate mi sta aspettando. Voi ragazze divertitevi, solo per favore state lontane dal bancone della cucina. Ho già un’immagine mentale di cui non riesco a liberarmi, e vorrei evitare di aggiungerne un’altra, grazie.”
Lancio uno sguardo a Rory e ghigniamo.
“Non possiamo promettere nulla, Jean, mi dispiace,” risponde la mia ragazza, e io ridacchio, felice come non lo ero da tantissimo tempo.

Wednesday, November 18, 2020

So it goes - Capitolo 43

 

43.
Questions of science and progress do not speak as loud as my heart

 

 

Quel venerdì è molto annebbiato per me. Jean suggerisce di andare a bere una birra da qualche parte, ma fingo un mal di testa per potermi chiudere in camera con il mio gatto e cercare di smaltire dormendo la girandola di emozioni che sono stati gli ultimi giorni. Devo essere davvero stanca, perché mi addormento il momento che la mia testa tocca il cuscino, il che è qualcosa di molto inusuale per me, ma comunque una benedizione.
Il sabato mattina mi sveglio sentendo il mio cuore più pesante che mai. Mi sento come se nell’anno passato io abbia perso tutto: Lilian e la nostra vita insieme, il mio lavoro, quello che mi sono costruita qui, e per ultima ma non meno importante, Rory. Però non riesco a pentirmi della decisione che ho preso, perché vuol dire che ora Rory è libera da me e dal ricordo costante della nostra relazione fallita, e può tornare a regnare a scuola come ha sempre fatto e a essere l’insegnante migliore che io conosca.
L’unico problema è che senza un lavoro non posso rimanere  in Spagna. E per quanto sia vero che posso sempre trovarmene un altro - ci sono un sacco di scuole d’inglese a Siviglia, e sono abbastanza sicura che tutte vorrebbero un’insegnante madrelingua qualificata e con esperienza - non posso fare a meno di sentirmi come se questa fosse la fine del capitolo spagnolo della mia vita. È triste, e non voglio andarmene, ma non vedo altra soluzione. Tornerò a Los Angeles, magari mi accamperò da Rachel mentre cerco un lavoro e un appartamento, e rinizierò da capo un’altra volta.
“Oh, Sirius, spero davvero che LA ti piaccia,” dico al mio gatto, e immediatamente vado nel panico, perché non ho idea di come siano le leggi riguardo il trasporto e l’arrivo degli animali negli Stati Uniti, così afferro il mio computer e mi metto a cercare. Fortunatamente ho solo bisogno di fargli un paio di vaccinazioni e di un certificato di salute da un veterinario che afferma che il gatto è in grado di volare. Sospiro di sollievo: dopo tutto quello che ho perso, non posso perdere Sirius.
Qualcuno che bussa alla mia porta mi distrae dall’organizzare il mio imminente trasferimento a Los Angeles.

Monday, November 16, 2020

Reese Girls - Capitolo 7

 

7.
C'È MANCATO UN PELO

 


 

La scuola estiva stava volgendo al termine, e Virginia non aveva ancora trovato il coraggio di invitare Shannon a cena. Avevano passato tutto il tempo tra le lezioni insieme in quei giorni, e avevano scoperto di avere un sacco di interessi in comune, eppure Gin aveva paura di esporsi troppo chiedendo a Shannon di vedersi fuori da scuola. Il che, se doveva essere onesta, era completamente folle, perché non c’era niente di sospetto nel chiedere a un’amica di vedersi dopo le lezioni. Eppure c’era qualcosa che la fermava tutte le volte che ci provava. Si svegliava convinta che l’avrebbe fatto, che quello sarebbe stato il giorno che avrebbe finalmente chiesto a Shannon di incontrarsi dopo la scuola, preparava anche le parole esatte da dire, arrivava davanti alla sua amica e poi perdeva tutto il coraggio il momento che i suoi occhi incontravano quelli verdi di Shannon.
Era una sfigata! Quelli erano i momenti in cui si rendeva conto che, al contrario di ciò che tutti continuavano a ripeterle, non era per niente come sua madre: Vivien non aveva mai problemi ad affascinare le donne - o chiunque altro, sinceramente; riusciva sempre a far pendere tutti dalle sue labbra e, cosa più importante, ci sapeva fare. Non solo era in grado di chiedere di uscire a chiunque, ma poteva anche portare chiunque a chiederle di uscire senza che si accorgessero di essere stati manipolati. Virginia, invece, era un vero disastro.
Si era appena rassegnata all’idea che il suo rapporto con Shannon non si sarebbe mai evoluto oltre all’essere compagne di scuola, quando l’oggetto dei suoi desideri decise di sorprenderla.
Stavano trascorrendo l’intervallo sedute su una panchina all’ombra - nessuna delle due aveva un rapporto particolarmente amichevole con la luce del sole sulla pelle - e stavano chiacchierando di musica, il che voleva dire che Virginia stava parlando e Shannon l’ascoltava e faceva versi d’approvazione. Questo era qualcosa che Virginia aveva imparato sulla sua nuova amica: Shannon non era di molte parole, ma questo non voleva dire che non stava ascoltando o che era annoiata dalla conversazione. Aveva questa abitudine di rispondere con rumori invece che frasi intere, e in quelle settimane Gin aveva imparato a riconoscerli tutti e a capire  cosa l’altra ragazza volesse comunicarle.
“Hey, ti andrebbe di andare a vedere il California Science Center oggi pomeriggio?” chiese Shannon senza preavviso, cogliendo Virginia di sorpresa e facendola quasi strozzare con l’acqua che stava bevendo.

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Sunday, November 15, 2020

Tessellate - Capitolo 25

 

25.
A TOURIST IN THE WAKING WORLD

 

 

Novembre.

 

“Papà, te l’ho detto, per quanto mi riguarda è ancora troppo presto per il casting,” Vivien ripetè quella che le sembrava essere diventata la sua frase standard nelle passate settimane. Ogni volta che il padre la chiamava per parlare del copione, la intimava a raggiungerlo a Londra per poter dare il via alla fase preliminare del casting. E lei, puntualmente, cercava di spiegargli che era inutile iniziare a cercare il cast per un film che non era ancora completato, e che probabilmente avrebbe avuto bisogno di un sacco di modifiche prima di poter iniziare le riprese.
Vivien sapeva che suo padre stava solo tentando di riportarla a casa, di averla vicina, ma lei non era ancora pronta per tornare a Londra. Non sapeva quando lo sarebbe stata, e sapeva benissimo che, una volta finito il copione, avrebbe dovuto lasciare Nerja e ributtarsi nella vita reale, ma per il momento era ancora una prospettiva troppo lontana. Non aveva iniziato a scrivere quella sceneggiatura per creare un film in tempo per la stagione degli Oscar dell’anno successivo, ma perché scrivere le serviva per guarire, e perché voleva che, prima o poi, quel film vedesse la luce del giorno. Suo padre, invece, non stava nella pelle all’idea di lavorare insieme e quindi era impaziente. Ormai era una scena che si ripeteva quasi ogni giorno.
Mentre era al telefono a discutere con il padre, Sebastian suonò alla porta per il loro appuntamento serale con vino e chiacchiere. Vivien lo fece entrare e gli fece cenno di accomodarsi in giardino. Nonostante le temperature fossero un pochino calate, era ancora piacevole stare all’aperto con anche solo una felpina, e i due amici non avevano intenzione di rinunciare alle loro serate in giardino finché non fossero scesi almeno sotto i quindici gradi.
“Senti papà, ora devo andare,” disse Vivien per tagliare corto. “Ho ospiti a casa. Ne riparliamo con calma. Intanto quando puoi mandami le modifiche per quelle scene che ti ho spedito l’altro giorno, d’accordo? Va bene, saluta tutti. Ciao.”
L’inglese chiuse la conversazione e si lasciò cadere sul divanetto. “Ugh, non lo vuole capire che non ho intenzione di tornare a Londra almeno per ora. Ogni giorno la stessa storia.”
“Forse allora dovresti seriamente iniziare a considerare la cosa?” suggerì Sebastian, attirandosi addosso un’occhiata di fuoco da Vivien.
“Ma tu da che parte stai?” si lamentò l’attrice.
“Dalla tua, lo sai che sono sempre dalla tua parte, ma Viv… ne abbiamo parlato di questa cosa settimane fa, e ancora non hai fatto un passo avanti. Ora che il copione è quasi finito…”
“Fermo dove sei,” lo interruppe Vivien, alzandosi per poter andare a prendere il cavatappi che Sebastian aveva stranamente dimenticato. “Non ti ho fatto venire qui stasera perché avevo bisogno di uno psicologo, o di un consulente per la carriera, e nemmeno di una ramanzina su come la mia vita non fa progressi. Tutto ciò che volevo era godermi una bottiglia di vino con il mio migliore amico a parlare di cazzate, possiamo farlo?”
“Io ho un’idea migliore per aiutarti a schiarirti le idee,” rispose Bas con un ghigno sul volto.

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Saturday, November 14, 2020

So it goes - Capitolo 42

 

42.
You're the broken one but I'm the only one who needed saving

 

 

Rory non mi parla. Vorrei poter dire di essere sorpresa, ma non lo sono per niente. È un po’ il suo modo di fare: dà fuori di matto, scappa, si chiude in se stessa, e poi io devo tirarla fuori dal suo panico facendo qualcosa che le fa capire quello che vuole veramente, o che non potrebbe resistere all’attrazione tra di noi neanche se volesse. Solo che questa volta non so cosa fare. Non mi lascia il tempo di sorprenderla nel parcheggio per parlare, visto che cerca sempre di finire le lezioni un paio di minuti prima e scappare fuori da scuola come se fosse Usain Bolt alle Olimpiadi. Non fuma neanche più, per lo meno non a scuola, così da non dovermi incontrare tra una lezione e l’altra. Le uniche parole che mi ha rivolto riguardavano il lavoro, e onestamente l’argomento non mi dà molto spazio con cui agire, visto che è difficile trasformarlo in battutine sessuali, cosa che ha sempre funzionato per noi.
Jean continua a pensare che dovrebbe parlarci lei, ma prima di tutto dubito riuscirebbe a farlo, e poi non penso che lei apprezzerebbe che le venisse tesa un’imboscata dalla mia migliore amica per parlare della nostra relazione.
Quello che noto,  però, è che durante le lezioni continua a lanciarmi occhiate di soppiatto con gli occhi da cagnolino bastonato, come se questa situazione la stesse ferendo veramente. È questo che non capisco: stavamo bene insieme, stava funzionando bene, quindi perché rinunciarci solo perché una persona ha scoperto di noi? Perché sente il bisogno di allontanarmi in quel modo, causando così tanto dolore a entrambe?
Rachel crede che debba lottare per quello che voglio, che debba compiere qualche gesto clamoroso per convincere Rory che ha fatto un errore a chiudere la nostra relazione, per ricordarle quanto stavamo bene insieme.
“Dille che la ami, imbecille!” mi urla mentre siamo in Skype.

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Wednesday, November 11, 2020

So it goes - Capitolo 41

 

41.
All love ever does is break and burn and end

 

 

Rientro nel mio appartamento con le gambe così pesanti che riesco a malapena a sollevarle per mettere un piede di fronte all’altro. Gli eventi dell’ultima mezz’ora sono come una nebbia nella mia mente e non riesco a capire quello che è appena successo.
Non riesco a credere che Rory abbia rotto con me. Stava andando tutto così bene, siamo riuscite  a superare quello che pensavo fosse il più grande ostacolo nella nostra relazione - il definirla - ed è andato tutto così liscio che non avrei mai potuto immaginarmi la fine. Eppure, è finita.
Una parte di me pensa ancora che Rory abbia solo bisogno di tempo per processare, per sentirsi a suo agio con l’idea che Jean sappia di noi,  ma c’è un’altra parte di me, quella che è stata ferita da Lilian, che non si può permettere di soffermarsi sulla possibilità del ritorno di Rory. Quando Lilian è scomparsa, ho continuato a sperare che fosse una situazione solo temporanea, e sono finita per esserne non solo terribilmente delusa, ma anche completamente distrutta quando la rottura è diventata ufficiale, quindi non posso ripetere lo stesso errore ora. Non posso essere ottimista e credere che Rory ritroverà il lume della ragione solo per essere delusa e ferita di nuovo.
In questo momento, però, non posso pensarci. In questo momento devo tornare su e parlare con Jean, spiegarle cinque mesi di bugie e segreti, e scusarmi per non essere stata onesta con lei, sperando che capirà e che mi perdoni.
L’istante che apro la porta di casa trovo Jean ad aspettarmi.
“Dov’è Rory?”
Faccio un respiro profondo e provo a disconnettere il cuore dal cervello in modo da riuscire a parlare con lei senza essere sopraffatta dalla tristezza che sto provando.
“È andata via, noi… ci siamo lasciate.” Vorrei non sentire questo insopportabile dolore nel petto mentre pronuncio quelle parole ad alta voce.

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Monday, November 9, 2020

Reese Girls - Capitolo 6

 

6.
LE RAGAZZE REESE E LE DONNE DAGLI OCCHI VERDI

 


 

Iniziarono la loro giornata madre-figlia al mercatino del Rosebowl a Pasadena, in cerca di qualche gioiellino vintage. Poi, per pranzo, si spostarono agli Huntington Gardens dove fecero un pic-nic e una passeggiata nel bellissimo parco.
Stranamente non c’erano troppe persone quel giorno, quindi le due ragazze riuscirono a trovare un po’ di piace e quiete per parlare, ma era comunque abbastanza affollato da far sì che Vivien riuscisse a mischiarsi tra la gente senza essere notata. Era a un punto della sua carriera in cui le persone la riconoscevano, e spesso veniva fermata mentre faceva shopping o pranzava con gli amici per qualche autografo o qualche fotografia. Succedeva più di frequente quando era insieme ad altre celebrities, soprattutto Elise, e solitamente non le dispiaceva dedicare del tempo ai suoi fan, ma non quel giorno. Quel giorno riguardava sua figlia. E poi, meno persone la vedevano con Virginia, più facile era tenere sua figlia lontana dai riflettori.
“Dunque, mà,” iniziò Virginia non appena finì di sbranare il suo panino. “Ho delle domande per te.”
Lei aveva delle domande? La figlia che aveva appena gettato addosso a sua madre la notizia che poteva essere gay? La ragazzina ne aveva di coraggio, pensò Vivien divertita.
“Sentiamole,” rispose, ridacchiando. Era curiosa di sapere cosa passasse per la mente di sua figlia.
“Come sei  arrivata a capire di essere bisessuale? È stato prima o dopo aver avuto me? C’è stata una ragazza specifica?”
“Woah, sembra più un interrogatorio che una piacevole conversazione,” rise la donna. “D’accordo, beh… sì, c’è stata una ragazza. Naomi.”
“Zia Nae?” Virginia sembrò sorpresa.  “Davvero? Wow, non  l’avrei mai detto! Dimmi di più!”
“Come sai, ci siamo conosciute a undici anni. Penso di aver avuto circa quindici anni quando ho capito che quello che provavo per lei era più di un’amicizia, e per un po’ ho creduto che lei ricambiasse, ma mi sbagliavo.”
“Cos’è successo?”

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Sunday, November 8, 2020

Tessellate - Capitolo 24

 

24.
HOW A RESURRECTION REALLY FEELS

 

 

Settembre.

 

KATE
Spero non ti dispiaccia che abbia dato a mia figlia Carter come secondo nome. A prescindere da tutto, Elizabeth è la mia migliore amica e la persona che mi è stata più vicina in questa gravidanza, quindi volevo renderle omaggio in qualche modo.
ISABELLA
Non devi preoccuparti, capisco benissimo. Questa bambina è fortunata a portare quel nome, e ad avere te come madre ed Elizabeth come zia.
KATE
E te come zia. Izzy, mi piacerebbe molto che tu ed Elizabeth foste le madrine di Olivia. Non c’è nessun altro al mondo che vorrei si prendesse cura di mia figlia, se mai mi dovesse capitare qualcosa.
ISABELLA
Davvero? Wow, Kate, è fantastico ma… ne sei sicura? Non vorresti Josh come padrino per Olivia? In fondo, voi due avete un rapporto molto stretto. Oppure tuo fratello, o qualcuno della tua famiglia.
Kate le sorride e scuote la testa.
KATE
Lo so, ma spero ancora che Josh possa, un domani, diventare molto più di un padrino. E per quanto riguarda la mia famiglia, Olivia è parte di loro, ha il loro sangue, quindi so che le starebbero accanto in caso mi succedesse qualcosa, ma non sono loro che vorrei la crescessero se non potessi farlo io. Vorrei foste tu ed Elizabeth a farlo, se per te non è una responsabilità troppo grossa, e capirei se lo fosse.
ISABELLA
No, non lo è. Sono onorata che tu me l’abbia chiesto, e accetto con gioia. Ti prometto che ci sarò sempre per la piccola Olivia, che potrai rivolgerti a me per qualunque cosa tu abbia bisogno e - facciamo le corna - che mi prenderò cura di lei se mai tu non sarai più in grado di farlo.

Vivien smise di scrivere e bevve un sorso di caffè, rileggendo velocemente le parole sul suo schermo. Sorrise al ricordo della notte in cui era nata Victoria, ma ben presto il calore che quella memoria le aveva causato si trasformò in una morsa allo stomaco al pensiero di ciò che aveva perso.
Erano passati più di tre mesi da quando se n’era andata da Los Angeles, e il dolore non accennava a diminuire. Certo, c’erano molti momenti in cui riusciva a distrarsi, soprattutto quando era con Sebastian, ma sulla sua vita aleggiava un perenne velo di tristezza e di rimpianti, e da quando aveva iniziato a scrivere la sceneggiatura per il film era solo peggiorato. Era però una cosa che doveva fare, doveva trasformare la più grande perdita della sua vita in un capolavoro che avrebbe commosso e ispirato il mondo, non tanto per un desiderio di fama e successo, ma perché qualcosa di così bello non meritava di finire così, nel dimenticatoio, con nessuno se non loro tre al corrente di ciò che era stato
Quindi Vivien passava ogni giorno a torturarsi, rivivendo tutti i momenti più importanti di quelle due relazioni che erano diventate una, scrivendo pagine e pagine di quella sceneggiatura che poi sarebbe passata a suo padre per la rifinitura, dato che lei non era una scrittrice ed era la prima volta che si cimentava con la creazione di un copione, nonostante ne avesse letti a centinaia nella sua carriera. Daniel si era mostrato entusiasta della proposta di sua figlia, essendo anni che non aspettava altro se non finalmente lavorare con lei. Ovviamente Vivien aveva dovuto spiegargli sommariamente della sua situazione sentimentale - o di quella che era stata la sua situazione sentimentale, e quella era stata una conversazione un filino imbarazzante, ma Daniel era abituato alle stranezze della figlia, e non aveva commentato.

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Saturday, November 7, 2020

So it goes - Capitolo 40

 

40.
Please stay

 

 

Le unghie di Rory si conficcano nel mio scalpo mentre chiudo le labbra intorno al suo clitoride e lo succhio delicatamente, i suoi gemiti riempiono la stanza e mandano brividi lungo tutta la mia schiena. Non importa da quanto tempo è che ci frequentiamo, i suoni che escono dalla bocca di Rory non smetteranno mai di avere questo effetto su di me, ancora di più ora che so di essere l’unica a cui è dato il privilegio di sentirli.
Faccio correre la mia lingua lungo la sua apertura e disegno cerchi alla base del suo clitoride, le sue gambe iniziano a tremare e riesco a sentire il suo corpo tendersi, preparandosi per raggiungere il climax. Quando viene lo fa violentemente e rumorosamente contro la mia bocca, quasi urlando il mio nome, e mi fa venire voglia di riniziare tutto da capo non appena questo orgasmo finisce.
Non lo faccio, però. Il momento che accenno a ricominciare lei mi lancia un’occhiataccia, dichiarando che quattro orgasmi di seguito sono abbastanza per ora, per lo meno finché non mettiamo qualcosa sotto i denti.
Uno dei grandi cambiamenti che ho notato in Rory in questi mesi che ci stiamo frequentando è che ora mangia di più di prima, che finalmente ora si concede di godersi uno dei suoi piaceri preferiti della vita. Sostiene che è per via di tutta l’attività fisica che facciamo che le permette di essere un pochino più rilassata quando si tratta di stare a dieta, e io non potrei essere più felice, perché amo le donne con un buon appetito. E poi, diciamocelo, sono sempre pronta a una sessione extra di ginnastica ogni volta che mangiamo più del solito, così che lei possa smaltire le calorie di troppo.
“Cosa ti piacerebbe mangiare?” le chiedo, sdraiandomi accanto a lei.
“Mmm, non lo so. Tu cosa vorresti?”
“Ho già avuto il mio piatto preferito. Due volte,” ghigno, guadagnandomi un’alzata di occhi al cielo e una pacca giocosa sul braccio.
“Sei una cagna!” mi accusa, e non posso contraddirla. “Andiamo, vediamo cos’ha da offrire la tua dispensa.

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Thursday, November 5, 2020

So it goes - Capitolo 39

 

39.
Those heavy days in June

 

 

Mi ricordo che la prima volta che ho sentito Ironic di Alanis Morissette nel lontano 1995 ho pensato che mancasse un verso, e che io avrei potuto scriverlo. Vincere la lotteria e morire il  giorno dopo, aver paura di volare ma prendere l’aereo lo stesso, peccato che poi l’aereo si schianta, un cartello vietato fumare durante  la tua pausa sigaretta… chiamarsi June, amare il mese di giugno, e morire in giugno. Questa è la storia di mia mamma, quella che avrei potuto aggiungere alla canzone.
Oggi è il cinque di giugno, il ventottesimo anniversario della morte di mia madre. Mia mamma si chiamava June, amava il mese di giugno, ed è l’ultimo mese che ha visto. Ironico, non è così?
Ventotto anni è un periodo molto lungo, e ogni anno in questo giorno vado avanti con la mia vita come in ogni altro giorno, solo passo un pochino più di tempo a pensare a mia mamma la mattina, e poi di sera solitamente accendo una candela al gelsomino - il profumo preferito di mia madre - mentre ascolto ‘Wish you  were here’ dei Pink Floyd - la sua canzone preferita - in vinile, e parlo con lei come se fosse davvero qui.
È il mio piccolo rituale sin da quando ero adolescente, il mio momento speciale con mia mamma.
Quest’anno, però, non appena mi sveglio e passo un po’ di tempo a letto a pensare ai piccoli dettagli che mi ricordo di mia madre, un’altro pensiero mi invade la mente, o meglio, un’altra persona: Keith Atkinson. Mi chiedo se sappia che la sua fidanzatina del liceo è morta solo pochi anni dopo il diploma, lasciando una figlia, SUA figlia, tutta sola. Mi chiedo se gli importi, o se gli importerebbe. Ancora una volta vengo sopraffatta da questi quesiti senza risposta: se avesse saputo, o se avesse saputo di me, mi avrebbe presa con lui? Se avesse saputo di me, magari non si sarebbe arruolato, magari noi tre avremmo vissuto insieme come una vera famiglia, magari mia mamma non sarebbe stata in quella macchina, a quell’incrocio, quel giorno di giugno, e sarebbe ancora qui con noi. O magari lo sa da sempre e non gli è mai importato nulla, magari ha sentito che mia madre è morta, lasciandomi sola, e se ne è lavato le mani. Ancora una volta ci sono troppe domande alle quali non posso rispondere da sola, troppe domande che mi continuano ad assillare finché non riceverò una risposta.
È in quel momento che decido. Avevo paura che non sarei stata in grado di affrontare l’enorme cambiamento che sarebbe arrivato nel contattare mio padre, ma ora non ho più paura. I cambiamenti non sono necessariamente negativi: la mia relazione con Rory è cambiata - seppur solo di nome - e quel cambiamento l’ha solo migliorata, quindi perché non dovrebbe essere lo stesso con mio padre? E poi, anche se mi rifiutasse, almeno mi metterei il cuore in pace una volta per tutte.
Quale giorno migliore per decidere di contattarlo dell’anniversario della morte di mia madre? Non è ironico?

Tuesday, November 3, 2020

Reese Girls - Capitolo 5

 

5.
MAI LITIGARE PRIMA DI CENA

 


 

“Mamma?”
La debole voce di Virginia arrivò da dietro la porta che Vivien aveva lasciato socchiusa quando era entrata in camera sua dopo venti minuti buoni di singhiozzi seduta sul pavimento della cucina. Si era sdraiata a letto con la tv accesa, ma la sua mente era completamente da un’altra parte, e non sarebbe neanche stata in grado di dire cosa stesse andando in onda in quel momento.
“Sì?” rispose, tirandosi su sui gomiti e sperando che i suoi occhi non fossero troppo gonfi e arrossati: non voleva che sua figlia sapesse che aveva pianto.
“Posso entrare?”
Vivien stava per ribattere con una battuta sarcastica, qualcosa del tipo “certo che puoi entrare, non sono quella mezza nuda a letto con un ragazzo”, ma decise di non farlo. Virginia aveva fatto la prima mossa ed era andata da lei, il che era molto più di quanto Vivien aveva fatto da adolescente. Certo, sicuramente sua figlia stava morendo di fame e stava per lamentarsi della mancanza di qualcosa di commestibile in casa, ma comunque era qualcosa. Vivien poteva ricordarsi almeno cinque occasioni diverse in cui aveva passato un’intera giornata senza mangiare solo perché non voleva uscire da camera sua e dare a suo padre e ai suoi nonni l’impressione che fosse lei ad arrendersi nella loro discussione.
“Certo,” disse invece.
Virginia sembrò esitante mentre si dirigeva verso il letto di sua madre e ci si sedeva sopra, gli occhi fissi sul pavimento.
“Mi dispiace,” disse quando trovò una posizione comoda in cui sedersi. “Mamma, mi dispiace tantissimo per le cose orribili che ti ho detto. Sono stata pessima, non so come tu faccia a volermi ancora bene dopo che io… aspetta, mi vuoi ancora bene, vero?”

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Sunday, November 1, 2020

Tessellate - Capitolo 23

23.
I DARE YOU  TO MOVE

 

 

Luglio.

 

“Seriamente, Bas?” sospirò Vivien aprendo la porta, gli occhi socchiusi per non farsi accecare dalla luce del sole. “Sono le sei e mezza del mattino, non hai altro da fare? Non so, un bar da aprire, una vita da vivere che non includa rompere i coglioni a me alle prime luci dell’alba?”
L’uomo sorrise e scosse la testa, emanando entusiasmo da ogni poro. Aveva scampanellato così tanto quella mattina da trascinare Vivien fuori dal mondo dei sogni, e ora stava lì in piedi, con i suoi vestiti sportivi, sorridendo come se fosse normale presentarsi a casa della gente a quell’ora impossibile senza che vi fosse un pericolo di morte imminente.
“Ho dei dipendenti che possono aprire il bar al mio posto, mentre per quanto riguarda l’avere una vita… sono le sei e mezza del mattino, nessuno ha una vita a quest’ora!”
“Cos’ho fatto di male per meritarmi questo?” gemette l’attrice, coprendosi gli occhi con le mani perché la luce le stava dando veramente fastidio. “Cosa vuoi?”
“Voglio che tu ti vesta immediatamente e venga a correre con me.”
“Sì, certo,” sbuffò Vivien.
“Dico sul serio. Devi fare un po’ di movimento, ti stai inflaccidendo a stare tutto il giorno chiusa in casa a fare il topo da biblioteca.”
“Chiedo scusa?” la rossa chiese oltraggiata, perché flaccida non era una parola che si poteva abbinare alla sua figura, mai. Si era sempre vantata di avere il culo più sodo che avesse mai visto, e questo non sarebbe cambiato per un mesetto di inattività. O forse sì? Forse si stava veramente inflaccidendo. Eppure era dimagrita dal suo arrivo in Spagna, visto il poco che mangiava. I muscoli, però, non avevano niente a che fare con le calorie, e lei era abituata a correre o comunque fare attività fisica ogni singolo giorno, e adesso…
“D’accordo,” rispose rassegnata. “Dammi dieci minuti, e poi farai meglio a offrirmi almeno un intero secchio di caffè, se vuoi che sia una compagnia piacevole.”
Sebastian scoppiò a ridere. “Non basterebbe tutto il caffè del mondo per farti diventare una compagnia piacevole, Viv! Coraggio ora, se non sei qui entro dieci minuti vengo a trascinarti fuori in qualunque stato ti trovi.”
“Ti odio,” grugnì Vivien tra i denti, ma rientrò comunque in casa e si affrettò a prepararsi per quella corsa mattutina. Non sapeva come, ma in un modo o nell’altro Sebastian riusciva sempre ad averla vinta, e questa cosa la irritava a non finire, perché solitamente era lei quella che affascinava tutti fino a ottenere sempre quello che voleva. Il fascino di Sebastian, però, era molto diverso dal suo: lei era la classica bella e dannata, la cattiva ragazza, quella misteriosa per cui tutti inevitabilmente si prendevano una cotta proprio per questo suo essere quasi pericolosa, mentre Sebastian era sempre sorridente, gioviale, dolce, aperto, pur essendo anche sarcastico e pungente quando ci voleva… e forse era per questo che riusciva a convincere Vivien a fare quello che voleva, perché era il suo esatto opposto e al tempo stesso erano molto simili.
Da quel giorno diventò una routine: Sebastian si presentava a casa di Vivien alle sei e mezza tutte le mattine e andavano a correre per un’oretta insieme, poi passavano dal bar di lui per fare colazione. Tutte le mattine Sebastian cercava di convincere Vivien a restare fuori un po’ più a lungo, e tutte le mattine Vivien rifiutava e tornava a casa, dove trascorreva il resto della giornata. Però ora invece di chiudersi in camera da letto al buio, si sdraiava in giardino con il suo libro del momento, lasciando che il sole le accarezzasse la pelle mentre si perdeva in questo o quel mondo fittizio, e ogni tanto si tuffava in piscina per fare qualche bracciata a nuoto.

So it goes - Capitolo 38

 

38.
I can't talk to you when you're like this

 

 

La festa estiva della scuola è tenuta in un club con piscina, o come diavolo viene chiamato un posto del genere. È carino, all’aria aperta, con le luci che illuminano le piscine quando cala il sole. Il tema, quest’anno, sono gli anni Ottanta, e ovviamente io ho fatto del mio meglio per vestirmi in modo appropriato - amo amo amo le feste a tema! Sono finita a sembrare un misto tra Joan Jett e Axl Roses, e ne sono molto soddisfatta. Rory, invece, è assolutamente da togliere il fiato nel suo costume da Madonna; non riesco a smettere di guardarla.
Sembra che io non sia l’unica con questo problema, visto che uno studente - uno studente maschio - sta praticamente rubando la sua attenzione, sedendosi accanto a lei e parlando senza fermarsi - in spagnolo, aggiungerei, il che rovina completamente il proposito di questo evento. Lei sembra annoiata a morte, e avrei voluto andare a salvarla, ma  ogni volta che  provo ad avvicinarmi, continuo a essere fermata da qualcuno: Jean che vuole fare un giro di shot con me, Giselle che vuole chiacchierare perché ultimamente non riusciamo a vederci fuori da scuola, o qualche studente random che vuole fare quello per cui è qui - parlare inglese.  Quando finalmente riesco a raggiungere Rory, sono esausta, e  lei ha la faccia di una che vuole ricevere un proiettile nel cranio per mettere fine alle sue sofferenze.
“Posso unirmi a voi?” chiedo e lancio a Rory uno sguardo per farle intendere che sto cercando di salvarla da quel ruolo di baby-sitter per lo studente, e che se vuole può andare.
“Certo, prendi una sedia,” mi dice soltanto
Mi guardo intorno e non ci sono sedie vuote, quindi scrollo le spalle e rimango in piedi, inserendomi nella conversazione più noiosa di sempre, che probabilmente diventa ancora peggio perché siamo passate a parlare in inglese - per quanto ne sa questo tizio, io non parlo una parola di spagnolo - e lo studente sta davvero facendo fatica.
Dieci minuti dopo inizio a sentirmi un filo a disagio a stare in piedi. Rory sembra aver capito, perché si muove sul bordo della sedia e mi fa cenno di sedermi con lei. Non ci penso su troppo e lo faccio, mettendo un braccio sullo schienale per tenermi in equilibrio - due persone su una sedia abbastanza piccola, non è esattamente facile o comodo, ma quando Rory si appoggia con la schiena sul mio braccio, non posso fare a  meno di sentirmi come se questa situazione fosse diventata un pochino troppo intima per il contesto. Mi volto per guardarla, per dirle, o almeno provare a dirle con gli occhi, che forse ci stiamo spingendo un po’ troppo oltre, che siamo un filino troppo ovvie, ma lei sta fissando davanti a sé, persa nei suoi pensieri mentre fa finta di ascoltare lo studente. È così tranquilla che mi rilasso anche io. Dopotutto, non c’è nulla di male in due amiche sedute un po’ troppo vicine perché stanno condividendo una sedia molto piccola, no?

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